Quando si esegue il dosaggio del PSA e il valore è superiore alla norma, niente paura, il PSA infatti non è un marcatore oncologico che aumenta quando c’è un tumore, è una proteina che si dosa nel sangue e il cui significato può essere, fino a prova contraria, quello di un “disordine” prostatico.
Di fronte a un aumento del PSA, occorre un approfondimento che inizia con una attenta anamnesi per valutare se esista una familiarità per tumore prostatico, fino alla RMN della prostata, passando attraverso una visita urologica che valuti la presenza di eventuali disturbi minzionali.
Quanto sopra però deve tenere conto dell’età e della situazione clinica del paziente, un conto infatti è un aumento del PSA in un paziente tra 50 e 70 anni, un altro, in un paziente dagli 80 anni in su.
E tra i 70 e gli 80?
Tra i 70 e gli 80 anni, tutto dipende dalle condizioni generali; infatti la presenza di eventuali patologie impegnative quali disturbi cardiocircolatori, neurologici, dismetabolici etc può controindicare approfondimenti clinici che potrebbero solo portare a false preoccupazioni.
Purtroppo non tutti gli “ addetti ai lavori” sono attenti a evitare un accanimento diagnostico e terapeutico, per cui non di rado vediamo 80-85 enni trascinati dai parenti in studi urologici per controlli dl PSA, nel timore di una diagnosi infausta che quasi mai potrà essere responsabile di un impatto sulla vita residua, oppure, al contrario, 30-40 enni che vengono “medicalizzati” perché forse in seguito a un episodio di prostatite il PSA si è bruscamente alzato.
Certamente da 40 anni a oggi il PSA ha consentito una enorme quantità di diagnosi precoci di carcinoma prostatico, tanto che si può dire che è il tumore più frequente nel maschio dopo quello polmonare; ne è seguita la messa a punto di trattamenti chirurgici e radioterapici sempre più innovativi, sicuramente con diminuzione della mortalità, ma purtroppo con un dimostrato aumento di interventi inutili e quindi di complicanze evitabili.
Quali sono gli interventi inutili? Un intervento è inutile quando non necessario perché non impatta sulla sopravvivenza o sulla qualità della vita.
La Prostatectomia radicale per tumore prostatico, ha subito negli anni parecchie trasformazioni sia per quanto riguarda gli interventi con il taglio (cosiddetti “ open” ) sia per gli interventi in laparoscopia o robotizzati; tutti hanno avuto innovazioni, tutti hanno cercato di minimizzare le complicanze funzionali post operatorie ( incontinenza urinaria e deficit sessuale), tuttavia , ciò nonostante, tali complicanze, con qualsiasi tecnica vengano condotti gli interventi, continuano a manifestarsi in percentuali non trascurabili e possono rimanere per anni o addirittura diventare permanenti .
(M. Hofmann e all, European urology 81, 2022), 04-109 ).
Che dire allora quando a essere sottoposti a intervento sono pazienti che hanno diagnosi di tumori prostatici che probabilmente non avrebbero mai dato problemi se lasciati al loro sviluppo naturale o anche pazienti nei quali il tumore non avrebbe avuto il tempo di svilupparsi per l’età ?
Purtroppo anche in chirurgia esiste “ l’ overtreatment ” ovvero l’intervento a tutti costi, anche di fronte a diagnosi “ clinicamente” non significative.
In conclusione, non è lo “strumento” PSA ad essere sbagliato, ma l’uso che se ne fa, quando lo si utilizza in fasce di età non corrette oppure quando il paziente non è il candidato giusto perché si guarda solo la patologia, solo alle linee guida più che alla fragilità psicologica, più alla tecnologia o al successo chirurgico e personale che alle paure o ai dubbi altrui.
L’uso corretto del PSA consiste nell’avvertire il paziente sul percorso da affrontare nella eventualità di un riscontro di un valore elevato, attraverso un dialogo sereno e schietto, ed eventualmente, in caso di diagnosi di tumore, attraverso un cammino che veda il Curante, l’Urologo e uno Psico-Oncologo a fianco del paziente, durante le diverse tappe diagnostiche ed eventualmente terapeutiche. Guai a lasciare il paziente non adeguatamente informato di fronte ad approfondimenti diagnostici i cui esiti possono essere imprevedibili ; la pur banale richiesta di PSA deve essere motivata e accettata, per evitare eventuali scelte difficili ( intervento o no?) che possono gravare comunque come una vera e propria “ Spada di Damocle” per il resto della vita .
Quante volte si è visto un paziente operato, libero da tumore e allo stesso tempo privo della voglia di vivere perché depresso ? Depresso per l’intervento, per i controlli, per le sequele sia sessuali che urinarie, per la paure del futuro.
Ma allora ogni richiesta di PSA deve comportare tanta attenzione e fatica?
Certamente no, se il medico è psicologicamente preparato e conosce il proprio paziente; se non lo conosce, allora deve avere la sensibilità giusta; sensibilità che non si impara all’Università ma è un bagaglio imprescindibile che richiede tempo;
Il tempo e l’esperienza maturati nel trattare l’oncologia e specie nella collaborazione con gli Psico-Oncologi , Specialisti troppo spesso dimenticati nell’ossequio alla tecnologia imperante, alle linee guida e agli interventi cosiddetti mini invasivi.
Purtroppo anche i rapporti tra i Medici di base e gli Specialisti possono essere frettolosi e frammentari e la recente pandemia non ha aiutato, per cui può mancare, in certi casi, una adeguata valutazione non tanto dei percorsi diagnostici e terapeutici, ma della fragilità dei pazienti e dei loro familiari che solo i Medici di famiglia conoscono.
In conclusione dietro una semplice richiesta di PSA, in certi casi, può esserci un cambiamento radicale della vita, sia in senso positivo che negativo; la cautela è d’obbligo e può indurci a porre in secondo piano i criteri della chirurgia tradizionale.